Pratiche contemplative

Quando meditiamo o ci approcciamo alle pratiche di raccoglimento, stiamo cercando un contatto più autentico con noi stessi, con la presenza, con la pienezza della vita.
La Meditazione e lo Yoga sono vie per imparare a stare con sé stessi, ad autoregolarsi emotivamente, a riconoscere e integrare tutte le parti di noi e, poi, per attingere a quella dimensione onnipervasiva e significativa che è la consapavolezza.

Spesso erroneamente si crede che il fine di queste pratiche sia condurci a stati pacificati della coscienza, stati trascendenti e di quiete.
Questo in parte è sicuramente vero ma, come ogni cosa richiede sforzo, determinazione, acquisizione di una tecnica, disciplina e una giusta disposizione del cuore…

Occorre attraversare gli ostacoli che naturalmente ci caratterizzano come persone e come umani. Sommati a tutti i mali e alle inerzie che questo tempo in cui viviamo ci sottopongono. E’ una vera rivoluzione, una rivoluzione trasformativa in cui decidiamo di prenderci per mano e di attraversare le nostre ombre, per venire alla luce in una versione più vera e luminosa.

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Cos’è lo Yoga?

Spesso si pensa che lo Yoga sia una pratica di allungamento e potenziamento muscolare, oppure un espediente per alleviare lo stress e la tensione. Questi elementi, seppur presenti, non sono il fine dello Yoga, ma piuttosto alcuni effetti benefici che si possiamo sperimentare lungo il percorso.

Lo Yoga è una pratica e una filosofia che permette al corpo e alla mente di unificarsi in uno stato contemplativo di presenza. La stessa parola Yoga significa “unione” “giogo” della mente sul corpo e su tutte le dispersioni. Yoga dunque è per prima cosa un potente mezzo di osservazione di noi stessi che si avvale del corpo e del respiro, per “raggiungere” la mente e “catturarla” in uno stato contemplativo di consapevolezza di sé.

E’ importante saperlo, perché fino a che lo Yoga è vissuto e praticato come una prestazione, una gara a perfezionare la posizione, un continuo voler sfidare i propri limiti fisici dimenticando la ricerca della presenza mentale e dell’osservazione di sé, non stiamo praticando Yoga, stiamo facendo ginnastica o comunque altro, ma non Yoga. Fare Yoga è praticare un ascolto sottile, un fare che si avvale di un “lasciar fare”, un lasciar emergere, è osservare amorevolmente, è risvegliare il sentire, è godere del corpo, è accompagnarsi alla resa, è inoltrarsi verso l’essenza di se stessi fino a sperimentare la pienezza e la meraviglia dello “stare in sé” (…)

foto su Pexels

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Le posture nello Yoga

Nello Yoga ci sono le posture, Asana, che l’insegnante propone e guida ad affinare secondo la coerenza del corpo e l’invito all’ascolto delle sensazioni che generano. Le Asana sono dei “ponti” attraverso i quali la mente del praticante può sostare, cominciando a sviluppare la concentrazione e ad affinare la percezione. Le posture ci orientano e ci aiutano a capire il nostro corpo, ci permettono di sentirlo, di localizzare le tensioni e in generale aiutano la mente a focalizzarsi, attraverso le sensazioni, sul momento presente.

Questo lavoro, oltre ai benefici che genera su un piano fisico, ha l’effetto di allentare le tensioni mentali e lo stress, riducendo il chiacchiericcio dei pensieri, sullo sfondo dell’esperienza, calmando la mente e riducendo la reattività.
Questo ad un primo livello accade sempre, ed è per questo che generalmente una persona che esce da una sessione di yoga (che sia un percorso serio e almeno in parte contemplativo), ne esce rigenerata e con un senso di benessere diffuso. Ma questo è solo il primo passaggio a cui lo Yoga conduce.

Il vero “salto” accade quando, dopo aver acquisito e padroneggiato l’ascolto del corpo, la capacità di percepire e di rilasciare tensioni, la concentrazione, la consapevolezza del respiro… siamo capaci di accorgerci del nostro rapporto con l’esperienza di Asana; la qualità dell’ascolto, il riconoscimento dell’intenzione, la qualità del nostro dialogo interno se si attiva commentando l’esperienza.

Insomma, l’essenza dello Yoga inizia quando iniziamo a cogliere il nostro “modo” di praticare, il che richiede di coltivare piuttosto che il “fare”, il controllare, il dirigere… un certo “lasciar fare”, lasciar emergere, lasciar affiorare ciò che già sta accadendo, lasciando che le nostre pretese, tensioni, brame, possano arrendersi alla verità di ciò che sta accadendo…

(Continua…)

Foto di Rainer Eck: Pexels

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